lunedì 31 dicembre 2018

Rompere gli specchi



Rompere gli specchi

è stato il secondo laboratorio nel 2018 per adolescenti che Silvia Spadoni ci ha commissionato, il primo:  Animaletti, il secondo con ragazzi derivanti dai quartieri periferici della città.
Ci ha ospitati in una saletta laboratorio il museo di arte contemporanea Mambo, di Bologna.

Sono stata coinvolta per molti mesi nel pensiero per scoprire cosa fargli fare, la meta certa era  di fargli apprezzare  la vita, allontanarli dal dolore, da quel senso di vuoto, solitudine, nullità, incapacità alla speranza e rassegnazione all'ignoranza.
Nella mia vita ho avuto dei momenti che ha prevalso il fare abitudinario e la routine di tutti, bere fumare, nulla fare, svuotandosi dell'energia importantissima per essere felici, io credo che faccia bene anche la noia, anche il cazzeggio, che sono mondi da conoscere anch'essi, ma quando si trova la forza di andare oltre all'abitudine,  coltivare degli interessi agendo, arriva l'energia e conseguentemente la felicità, si la felicità è energia, serve energia anche per godersi la malinconia.

è stato quando pulivo gli specchi a Roma smontando la mostra di Ailanto  che una  luce ha esplicato una possibile soluzione.
Vedere gli specchi rotti nel perimetro dei grandi sigilli a causa dei tagliaerbe, il ricongiungerli in composizioni sopra a quelli incolumi per stivarli,  mi ha portata a riflettere.
Ho pensato che una delle cose che ci porta a deprimerci sempre di più, è il credere che siamo fatti così e non c'è scampo, i sensi di colpa di come si è o di quello che ci capita.
Desideravo dare l'informazione ai ragazzi che non esiste colpa, che ogni cosa commessa vissuta e sentita si può trasformare, che non  si sconfigge mai la vita per vicissitudini volute o subite, si possono sempre cambiare le rotte, bisogna conoscersi senza colpevolizzarsi.
Semplicemente, non che se hai sbagliato dovrai sbagliare sempre, non che se odi dovrai odiare sempre, siamo anime in cerca di esperienze e possibilità, dobbiamo accettare l'errore come la morte, un cambiamento di prospettiva, un'occasione di comprensione.
La peggior cosa è pensare tanto sono fatto così, tanto sono sbagliato, tanto sono sfortunato e lo sarò per sempre.
Anche quello che ci accade di brutto fa parte di noi, con coraggio possiamo specchiarci nel nostro nemico, perché siamo sempre noi, ed è dall'accettazione che nasce la guarigione, perché l'esperienza diventa totale, circolare.

Guardarsi nello specchio, pensare ad un avvenimento che ci ha turbato, che abbiamo magari provocato noi oppure  pensare ad una persona che odiamo, che ci ha fatto del male, ecco fissarci dentro allo specchio capendo con il corpo che noi siamo l'altro che noi siamo la persona che ci ha fatto male, o l'esperienza che ci ha ferito, rompere lo specchio con tutta la forza e rabbia che abbiamo, per guarire, come quando si riesce a piangere, e perdonare, perdonarci, per donarsi.

Era un po' difficile farla passare questa idea pericolosa da mettere in pratica, ma grazie a Silvia ci siamo riusciti e grazie anche alla libertà ed espansiva mente dei gestori di questo programma nella nostra, che in questi casi sembra, città dalle vette alte della psicologia attraverso l'arte.










Elisa, figlia di Silvia, ci riprendeva e si è vestita elegantemente e invisibilmente bianca come il muro.




Un'operazione artistica dove i giovani fanciulli sono gli attori, le vittime e i redentori di se stessi.

Sono stati fantastici, disciplina e serietà che non mi aspettavo.
Uno alla volta con la concentrazione su di se di tutti, rendeva la scena uno spettacolo forte dal punto di vista emozionale e curativo.
Ci sono stati molti momenti toccanti.
Ci sono stati pochi momenti imbarazzanti, tutto fluiva magicamente.
Un'ironia sottile, contenuta, un incoraggiare esemplare.
Serio è stato, e divertentissimo!

Il primo ragazzo mi ha detto, prima era sicuro e tranquillo, ma nel momento dell'atto, mi ha detto con gelida fermezza: ma io non ho mai rotto uno specchio, gli ho risposto: neanche io.
Bumm lo ha schiantato a terra sulla moquette verde spingendolo dall'alto.


Le tante schegge  hanno invaso lo spazio, ma, menomale, arrivando a malapena  a noi tutti messi intorno al perimetro della stanza, ha causato paura, così che dopo abbiamo usato il carrello scultura protetto, trovato nel laboratorio del museo Mambo per caso,  sembrava essere stato creato apposta per questa performance.



Uno alla volta si concentravano davanti alla loro immagine riflessa con attorno il silenzio degli altri.



Abbiamo fatto comprare guanti e occhiali per protezione, usato vari tappeti che avevano già nel laboratorio per sedersi, ma i ragazzi dopo la prima rottura sono rimasti sempre in piedi a perimetro dei muri.


 Mia Suppej, assistente di Silvia, ha trovato all'inizio il magico bastone scettro,
ottima arma per la rottura.


I 23 ragazzi hanno segnato il loro destino, tenevano un atteggiamento  rispettoso tra di loro,  anche per quelli che non hanno osato, siamo stati stupiti per l'assenza di giudizio e l'ironia costruttiva.
Il silenzio e la concentrazione su chi si accingeva a romperlo era tagliente, e poi il sollievo per tutti dopo il botto della rottura, alcuni hanno insistito a romperli, a romperli aiutati dal bastone, con rabbia, con sfogo, con laconica imprecazione, felici poi.

Ho chiesto ai ragazzi come si sentivano e la maggior parte hanno detto liberati, con il cuore più leggero.
Anche Silvia e un signore di officina adolescenti hanno rotto il loro specchio.














Dopo questa esperienza così forte sono balzata in un'altra con 28 donne, me compresa, in una vallata nelle colline a celebrare la luna piena.

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