lunedì 31 dicembre 2018

Chi Utopia Mangia le mele








Siamo stati invitati da Gabriele Tosi e Adriana Polveroni a partecipare alla grande collettiva per la fiera di Verona 2018: "chi utopia mangia le mele".


Dopo aver scelto il Mago grande e il quadrupede piccolo ho mandato loro il testo che segue.

14 settembre 2018


Eravamo a Noto quando ci ha chiamati Alessandra D’Innocenzo per chiederci come si sarebbe chiamata l’opera che avremmo regalato a Do ut Do, singolare associazione di beneficenza per  malati terminali di cancro.
Da più di tre anni desideravo imbarcarmi nella realizzazione di una scultura in marmo con gli scalpelli così che lei ci ha proposto una ditta: la Pimar per eseguire due sculture in morbida pietra leccese, una da donare all’associazione e una da tenere per noi.
La Pimar ci ha accolto e gratuitamente fatto lavorare nei suoi ampi e riforniti di tutto ciò che serve spazi e spediti i lavori a Bologna…ma andiamo con ordine.
Prima che ci chiamasse, in sicilia avevo sperimentato da qualche giorno il lavorare il tufo, estraendo da una pietra scelta tra tante un essere, un viso, una icona che sembra sacra.
Da molto tempo lavoro nell’aggiungere con la creta e altri materiali, creando in modo istintivo delle figure, li chiamo sempre maghi dal 2002, ma ricavarne uno, invece che aggiungere, togliendo piano piano materia, in questo primo caso con chiodi cacciaviti e quello che avevano lasciato gli operai in giro, è molto diverso, è molto più simile al dipingere; la prima figura che ho estratto, come del resto le successive,  è cambiata molto nei passaggi di scendere nella pietra, creando man mano volti diversi fino a che mi sono fermata.
Ho pensato così che anche alla Pimar potevamo estrarre dei volti dalle pietre, da una base formata con le macchine a imbuto rovesciato  ricavare la faccia del mago in cima.
In fretta quella mattina che ci chiamò decisi il titolo Maghi, per entrambi,  avevamo già progettato di accompagnarli da un nostro antico personaggio nato come fumetto nel 1994: Quadrupede, non lasciandoli così soli, fare due più due, dare un senso di composizione, narrazione e ambiguità, non si capisce chi sia più Sacro o Divino dei due, anzi non c’è dualità, sebbene diversità totale, non so neanche se loro ci tengono a collaborare, ma so che vicini significano e fanno significare. in ogni modo possono essere entrambi maghi anche se chiamiamo mago la faccia e Quadrupede quadrupede.
Quadrupede è una specie di animale, ma diverso perché ha sensi diversi, vive in un mondo suo sottile, forse extraterrestre, anche se lo si può trovare, riconoscere, nella materia già composta, come ad esempio un tronco su due cavalletti, ma deve dare il senso che lui ragiona e sente in un modo suo, che non fa parte dei sensi usati dalla razza umana, per ora, o meglio che si sappia di consueto in giro.
Così che questo particolare essere è proprio indicato per i possibili Maghi che proprio maghi non sono, possono essere delle entità, delle figure sacre,  vigili essenze, protezioni,  ponti, madonnine.

Alla Pimar siamo stati così felici di poter lavorare come scalpellini che non badavamo al tempo, c’era molto da fare per la fabbrica in quel periodo perché dovevano finire i lavori ordinati prima delle vacanze, così che ci siamo adeguati e non abbiamo fatto impazzire a far fare alle macchine delle figure di aiuto, ma salendo sulle montagne di scarti abbiamo adottato le pietre più confacenti al nostro scopo, sia per i maghi che per i quadrupedi, questo grazie al primo lavoro a Noto che ci ha ispirati.

Abbiamo fatto un mago piccolo che si accompagna ad un quadrupede grande, un mago grande che si accompagna ad un quadrupede piccolo, ciò da il senso a quello che raccontavo prima di loro e degli scherzi che fa la magia, come quando Alice nel paese delle meraviglie mangiava i biscotti…. questa faccenda è molto  seria: sono veri maghi, o perlomeno  entità,  esseri che dalla pietra si sono creati, il mago piccolo ricorda gli Aztechi e quello grande una Grande Madre che sembra sardonica prenderti  in giro forse perché sa che senza umorismo divino non c’è nessuna possibilità per l’umanità.
Ma ripeto che questi volti si sono creati da soli.

I quadrupedi invece sono sempre loro stessi in ogni spazio e forma, ma ognuno è pure diverso, forse bisogna però pensarli più ad una cornice astratta, ad una forma di preghiera antica non iconografica, anche se loro per essere capiti e amati in questa era capitalista-materialista.scentifica mostrano un grugno più simile alle forme animali di questo regno.


Ho scritto abbastanza sciocchezze?
No scherzo, è tutto vero.

A Verona sono stati richiesti i MAGHi n. 2 Il Mago Grande e il quadrupede piccolo.


Buongiorno Buonasera Gabriele Tosi è una roccia vera.






Il testo di Gabriele Tosi sul catalogo:

Maghi 2, 2018
Pie†ra leccese, 57x25x94 cm. e 68x14x18 cm.
Courtesy gli artisti e do ut do

Due figure accompagnano la visita alla mostra. Hanno un qualcosa di archetipo, ma al tempo stesso fatuo. Forme squadrate e razionali che custodiscono tracce di dimensioni periferiche. La ieraticità del mago è descritta dagli artisti come umorismo divino. ll quadrupede, invece, ha solo il grugno, è l`olfatto il suo senso guida in un presente dove l`immagine visiva sembra l'unica cosa credibile. ll personaggio di quadrupede è nato come fumetto alla ?ne degli anni Novanta ed è uno degli spiriti che meglio esempli?ca il carattere post-eroico, eroso e reincarnato, delle creature pensate negli anni da Cuoghi Corsello. Il duo lo de?nisce come «un essere che può apparire ovunque, che vive delle avventure a noi incomprensibili perché non conosciamo i suoi sensi. Osservandolo potremmo capirli e capire cosi anche i nostri sensi nascosti.» Le opere di Cuoghi Corsello sono frammenti di una parte di umanità| che appare esclusa dal presente a causa del suo carattere pragmatico. I loro lavori, la loro pratica, i loro riti e i loro personaggi, sono testimonianze di strada e di vita. Custodiscono ciò che l'uomo è stato e auspicabilmente sarà ancora: un animale mosso dalla magia della visione. -G.T.
Cuoghi Corsello (lavorano in coppia dal 1986)
Da sempre basati a Bologna hanno sperimentato diverse forme di creazione nella costanza del binomio tra vita e arte. Per 11 anni, a cavallo del millennio, vivono in luoghi abbandonati dando vita a originali forme di occupazione artistica, creando comunità orizzontali dove l`arte si fonde al gioco, al sogno, all`utopia, alla natura e al desiderio. Operano con ogni mezzo artistico, dal graffitismo all`installazione passando per il video e la pittura. Creano innumerevoli personaggi a cui, di tanto in tanto, affidano l`autorialità dei loro interventi.








abbiamo capito meglio la mostra dopo le spiegazioni dei curatori.













Alla fiera di Verona eravamo nello stand di Enrico Astuni con due opere:

Venezia 2016 Buco 2018


Venezia è una delle rare moquette che ci siamo rimpallati a dipingere.
Dal 2002 dipingiamo su questo semplice e per molti aspetti ottimo materiale,
lo spray nebulizza sul morbido portando l’azione più vicina al pensiero che non 
il dipingere con contatto sulla superficie, è comoda da trasportare perché si arrotola,
di materiale plastico anch’essa come la vernice spray è indistruttibile.
La cosa più difficile è scegliere la fotografia nei casi la pittura sia una sua copia,
abbiamo ampi archivi di immagini perché quotidianamente fotografiamo.
L’idea di dipingere le fotografie in grande è venuta a Claudio, ammirato dalle immagini che facevo con il Nokia a bassa risoluzione, poi però abbiamo subito amato anche la bassa risoluzione, lo sfumato picchiettante dei pixel ci piaceva 
come nel video “Collo” del 2004.
La pittura è comunque sempre un’altra cosa, e a volte ne sono stata persino invidiosa perché le persone 
considerano più codesta e ci inducono a trascurare le tante belle fotografie.
Venezia è una foto della serie che amo scattare mentre sono nell’auto che corre.
Ho un rapporto particolare con questa città, anche onirico, 
l’interesse per le scritte tra le quali i cartelli stradali è sempre stato viva nella nostra produzione,
come anche quello banale per i cieli, gli alberi, i prati, le case, le persone, le tag….


Buco è un lavoro che sto ultimando proprio per la fiera.
L’abbiamo portato a casa da villa dei Quintili a Roma, parco archeologico chilometrico per estensione e fascino.
Quando siamo andati a visitare il luogo per trarne ispirazione per il progetto della mostra Ailanto <3 p="">
siamo stati stupiti dall’energia in un punto preciso della cisterna  di oltre 2000 anni, presso la fessura sul muro da dove un tempo si riversava l’acqua sentivamo una forte sensazione,  abbiamo chiesto di poter fare proprio in quel punto un buco nella terra ancora da levare così da poterne estrarre una scultura con quella energia, l’avrei desiderata alta come noi, un buco profondo come la nostra statura; dopo un primo dissenso degli archeologi, la gentilezza del curatore Fulvio ha ottenuto di poter fare un buco di 50 cm.
Nella terra scavata abbiamo trovato diversi reperti, un marmo antico, una cartuccia ( il luogo è stato rifugio durante la guerra mondiale), un pezzo di bomba.
Ho messo l’acqua abbondante nella terra argillosa rossiccia e granulosa, così che invece di una statuina ne è nata una faccia, cambiava espressione ogni volta che andavo perché la risistemavo rimodellandola un poco, poi è rimasta così.
Le metterò il copale per compattare la terra non cotta, come feci nel 1992 con la prima Petronilla e con i Maghi del 2009,
nelle crepe che si sono formate forse gli farò il trattamento della foglia d’oro, come si usa in Giappone fare nelle crepe degli oggetti che si sono rotti e rincollati: l’esperienza della loro rottura gli da più significato, l’oggetto acquista più valore e questo metodo chiamato Kintsugi è un modo per sottolinearlo.
Questo viso non so ancora cos’è, un protettore forse, per questo lo chiamiamo per ora Buco.

é stato ultimato con il copale, ma l'oro nelle ferite non mi piaceva e l'ho sparpagliato, poi ho usato anche del copale colorato con dei riflessi blu, pasticcio su pasticcio...

Questi due lavori hanno in comune l’acqua, colleghiamo Roma, Villa dei Quintili sito termale  a Venezia, il tempo di 2000 anni fa con il recente correre veloci le strade.




VENEZIA

2016
Spray su Moquette
cm 161 x 394




BUCO

2018
Terra argillosa, copale, foglia d’oro

cm 40 x 34 x 13






La nostra cara amica Leer c'era anche, l'angelo custode delle fabbriche occupate, è stata lei a consigliarci di occupare da soli le fabbriche.













Rompere gli specchi



Rompere gli specchi

è stato il secondo laboratorio nel 2018 per adolescenti che Silvia Spadoni ci ha commissionato, il primo:  Animaletti, il secondo con ragazzi derivanti dai quartieri periferici della città.
Ci ha ospitati in una saletta laboratorio il museo di arte contemporanea Mambo, di Bologna.

Sono stata coinvolta per molti mesi nel pensiero per scoprire cosa fargli fare, la meta certa era  di fargli apprezzare  la vita, allontanarli dal dolore, da quel senso di vuoto, solitudine, nullità, incapacità alla speranza e rassegnazione all'ignoranza.
Nella mia vita ho avuto dei momenti che ha prevalso il fare abitudinario e la routine di tutti, bere fumare, nulla fare, svuotandosi dell'energia importantissima per essere felici, io credo che faccia bene anche la noia, anche il cazzeggio, che sono mondi da conoscere anch'essi, ma quando si trova la forza di andare oltre all'abitudine,  coltivare degli interessi agendo, arriva l'energia e conseguentemente la felicità, si la felicità è energia, serve energia anche per godersi la malinconia.

è stato quando pulivo gli specchi a Roma smontando la mostra di Ailanto  che una  luce ha esplicato una possibile soluzione.
Vedere gli specchi rotti nel perimetro dei grandi sigilli a causa dei tagliaerbe, il ricongiungerli in composizioni sopra a quelli incolumi per stivarli,  mi ha portata a riflettere.
Ho pensato che una delle cose che ci porta a deprimerci sempre di più, è il credere che siamo fatti così e non c'è scampo, i sensi di colpa di come si è o di quello che ci capita.
Desideravo dare l'informazione ai ragazzi che non esiste colpa, che ogni cosa commessa vissuta e sentita si può trasformare, che non  si sconfigge mai la vita per vicissitudini volute o subite, si possono sempre cambiare le rotte, bisogna conoscersi senza colpevolizzarsi.
Semplicemente, non che se hai sbagliato dovrai sbagliare sempre, non che se odi dovrai odiare sempre, siamo anime in cerca di esperienze e possibilità, dobbiamo accettare l'errore come la morte, un cambiamento di prospettiva, un'occasione di comprensione.
La peggior cosa è pensare tanto sono fatto così, tanto sono sbagliato, tanto sono sfortunato e lo sarò per sempre.
Anche quello che ci accade di brutto fa parte di noi, con coraggio possiamo specchiarci nel nostro nemico, perché siamo sempre noi, ed è dall'accettazione che nasce la guarigione, perché l'esperienza diventa totale, circolare.

Guardarsi nello specchio, pensare ad un avvenimento che ci ha turbato, che abbiamo magari provocato noi oppure  pensare ad una persona che odiamo, che ci ha fatto del male, ecco fissarci dentro allo specchio capendo con il corpo che noi siamo l'altro che noi siamo la persona che ci ha fatto male, o l'esperienza che ci ha ferito, rompere lo specchio con tutta la forza e rabbia che abbiamo, per guarire, come quando si riesce a piangere, e perdonare, perdonarci, per donarsi.

Era un po' difficile farla passare questa idea pericolosa da mettere in pratica, ma grazie a Silvia ci siamo riusciti e grazie anche alla libertà ed espansiva mente dei gestori di questo programma nella nostra, che in questi casi sembra, città dalle vette alte della psicologia attraverso l'arte.










Elisa, figlia di Silvia, ci riprendeva e si è vestita elegantemente e invisibilmente bianca come il muro.




Un'operazione artistica dove i giovani fanciulli sono gli attori, le vittime e i redentori di se stessi.

Sono stati fantastici, disciplina e serietà che non mi aspettavo.
Uno alla volta con la concentrazione su di se di tutti, rendeva la scena uno spettacolo forte dal punto di vista emozionale e curativo.
Ci sono stati molti momenti toccanti.
Ci sono stati pochi momenti imbarazzanti, tutto fluiva magicamente.
Un'ironia sottile, contenuta, un incoraggiare esemplare.
Serio è stato, e divertentissimo!

Il primo ragazzo mi ha detto, prima era sicuro e tranquillo, ma nel momento dell'atto, mi ha detto con gelida fermezza: ma io non ho mai rotto uno specchio, gli ho risposto: neanche io.
Bumm lo ha schiantato a terra sulla moquette verde spingendolo dall'alto.


Le tante schegge  hanno invaso lo spazio, ma, menomale, arrivando a malapena  a noi tutti messi intorno al perimetro della stanza, ha causato paura, così che dopo abbiamo usato il carrello scultura protetto, trovato nel laboratorio del museo Mambo per caso,  sembrava essere stato creato apposta per questa performance.



Uno alla volta si concentravano davanti alla loro immagine riflessa con attorno il silenzio degli altri.



Abbiamo fatto comprare guanti e occhiali per protezione, usato vari tappeti che avevano già nel laboratorio per sedersi, ma i ragazzi dopo la prima rottura sono rimasti sempre in piedi a perimetro dei muri.


 Mia Suppej, assistente di Silvia, ha trovato all'inizio il magico bastone scettro,
ottima arma per la rottura.


I 23 ragazzi hanno segnato il loro destino, tenevano un atteggiamento  rispettoso tra di loro,  anche per quelli che non hanno osato, siamo stati stupiti per l'assenza di giudizio e l'ironia costruttiva.
Il silenzio e la concentrazione su chi si accingeva a romperlo era tagliente, e poi il sollievo per tutti dopo il botto della rottura, alcuni hanno insistito a romperli, a romperli aiutati dal bastone, con rabbia, con sfogo, con laconica imprecazione, felici poi.

Ho chiesto ai ragazzi come si sentivano e la maggior parte hanno detto liberati, con il cuore più leggero.
Anche Silvia e un signore di officina adolescenti hanno rotto il loro specchio.














Dopo questa esperienza così forte sono balzata in un'altra con 28 donne, me compresa, in una vallata nelle colline a celebrare la luna piena.