giovedì 17 dicembre 2015

forum dell'arte contemporanea a Prato






25,26,27 settembre 2015.

Brava Cavalla Lucente ad organizzare questa utile e divertente iniziativa.
Si ci siamo anche divertiti e scoperto una città che davamo per scontato brutta e invece è molto bella.
Siamo partiti che sembrava inverno, una passeggiata fino alla stazione Mazzini vicina a casa nostra, in treno al tramonto.



Ci hanno ospitati egregiamente.





Abbiamo avuto tempo anche di girellare sia per la città.
Un lungo fiume con pista ciclabile e farfalle e fiori profumati, l'attraversa.




Importante anche se non grandissimo  il castello fatto costruire da Federico secondo con un enorme fico al suo interno,




































































bellissime chiese e musei,




come quello delle stoffe con preziosi reperti antichi.




























Condizionati dalla mostra a Bologna dei quadrupedi ogni tanto ne trovavamo qualcuno.






Una città con molte etnie, soprattutto cinesi e nordafricani.

















Erano quasi  tutti "elegantini" in modo disgustoso  come nelle piccole città,
ma a volte veramente eleganti:



Tra i tanti tavoli proposti per discutere della situazione dell'arte Italiana per trovare sbocchi alternative idee ad un futuro migliore ne avevamo scelti alcuni e gli organizzatori tra questi ci hanno inserito in un tavolo perfetto.












A8. Esterofilia: un problema italiano

 26.09, ore 10.00
Monash University

Coordina:
Francesco Garutti

Partecipanti al tavolo:
Fabrizio Ballabio
Alessandro Bava
Ilaria Bombelli
Margherita Castiglioni
Cuoghi Corsello
Michele D’Aurizio
Eva Fabbris
Diego Marcon
Paolo Zani


pensavo che il Garutti annunciato fosse l'insegnante di Brera e invece era il figlio!

Questo vi può fare capire quanto siamo purtroppo isolati e non conosciamo le cose che succedono.
Una compagnia molto simpatica e soprattutto giovane, i più giovani di tutto il convegno.

è stato bello incontrare tante preziose persone conosciute nell'arco della nostra carriera, ma ancora di più conoscere queste nuove figure dell'arte.

Ci siamo incontrati la notte prima a cena bevendo e chiacchierando del tema che la mattina dopo avremmo discusso.
Sono tornata sola in albergo accompagnata da un nordafricano molto buono, c'era un sacco di persone in giro, nessuno del nostro mondo delirate a tarda notte.

Siamo stati tutti puntuali, noi con le valige perché dopo scappavamo ad inaugurare la mostra dei quadrupedi a Bologna.

Ci hanno messo nella stanza numero 8, quella dei giochi....

Ho avuto coraggio di parlare e dire quello che pensavo.

Mi spiace che Grulli venuto ad assistere al nostro tavolo si sia trattenuto, ha fatto un paio di  interventi e poi ha desistito  anche se aveva molte cose da dire significative.

















lo copio e incollo che qui sotto , magari con il tempo levano la pagina.


Esterofilia: un problema italiano #ForumArteContemporanea

Tra i tanti tavoli di discussione presenti al Forum di Arte Contemporanea di Prato - nella sezione "Discussione, analisi, approfondimento, denuncia” - si parla di attrazione verso l’estero, sia da parte degli artisti, che dei galleristi e collezionisti.
settembre 26, 2015
Marco Arrigoni
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Plenary Melbourne – Exhibition and Convention Centre
“Noi ci muoviamo in base al mercato e non ci conviene avere artisti italiani!”
Tra i tanti  tavoli di discussione presenti al Forum di Arte Contemporanea di Prato – nella sezione “Discussione, analisi, approfondimento, denuncia” – si parla di attrazione verso l’estero, sia da parte degli artisti, che degli galleristi e collezionisti. Perché? In che misura? Colpa del mercato? Assenza di ricerca? Pochi stimoli?
A seguire gli interventi dei partecipanti, coordinati da Francesco Garutti, curatore e editor d’arte contemporanea e architettura.

Francesco Garutti
La debolezza o soggezione nel rapporto con l’estero è semplicemente legata a carenze sistemiche o è legato a questioni di cultura dell’arte? La mostra di Paul Newman del ‘92 aveva un catalogo meraviglioso con una sezione iniziale rivoluzionaria, potente, in cui il progetto grafico di FreedmanArt era di collezionare immagini, pezzi di giornali, ecc. che avevano a che fare con gli anni intorno al 92, che raccontavano la società del periodo. C’era la capacità di raccontare una storia, capace di rendere riconoscibile gli artisti. Noi siamo stati o non siamo mai stati in grado di fare ciò, fa parte della nostra natura non costruire narrative tali per fare un discorso? Ha senso farlo a partire da un’idea di identità nazionale? Siamo effettivamente esterofili? Quanto questo ha una incidenza della nostra esperienza personale? (…)
Mi viene in mente un numero di Freeze con una copertina con degli spaghetti (numero dedicato alle realtà italiane – cover di Anthea Hamilton, Monarch Pasta, 2010). E’ interessante il momento temporale in cui Frieze ha fatto questa sezione monografica dell’Italia: come se un paese anglosassone, storicamente solido, abbia deciso di guardare chi invece era stato sempre in crisi, come per vedere come si sta quando le cose non vanno molto bene. Se pensiamo che la prima maratona di Hans-Ulrich Obrist nasce in Italia e si chiama “Birds”, fatta nel Parco degli Uccelli vicino a Roma, utilizza quindi una riserva naturale inventandosi un tema ed un formato a partire da un tema tutto italiano, mi chiedo se si era flessibili nel muoversi nel paesaggio, in giro,…  (…) Bisognerebbe affrontare anche il problema del panorama editoriale, legittimazione a partire dalla scrittura.

Paolo Zani, Gallerista
Vedo questo problema in modo forte. Ho notato che il sistema internazionale in cui ci muoviamo come italiani è piuttosto omogeneo, ovviamente basato su parametri economici di stampo anglosassone (gallerie privata). Credo sia anche un problema generazionale. Le nuove generazioni hanno più capacità ad inquadrarsi in un sistema internazionale, in cui vigono regole standard. L’appeal di gruppi artistici nel mercato dell’arte, che è il loro habitat, è legato a fattore come il sostegno degli stessi in base ai luoghi di provenienza. Faccio l’esempio della Polonia, che ha creato numerosi artisti anche solo per il fatto di essere sostenuti dalle fondazioni, oltre che per essere accompagnati da figure critiche. Così pure la Scozia, il Messico, il Brasile,… Essendo una questione di mercato, sono quelli emergenti a spingere gli artisti nel loro paese di appartenenza. Tutto ciò in Italia non succede, anzi c’è una problematica in tal senso. Lo sguardo delle gallerie verso l’estero non è un fattore di attrazione esotica verso qualcuno di più bravo, ma è un mero calcolo economico legato alla sopravvivenza stessa della struttura-galleria. Si crea un cortocircuito: l’economia di una galleria, che biologicamente deve trovare più soldi per sopravvivere, deve trovarsi nel dibattito in modo piuttosto acritico e sterile. Viene tolta energia ed attenzione alla ricerca artistica per girarla in una dimensione di denaro. L’esterofilia è quindi legata ad una situazione che andrebbe affrontata con più forza e con meno accondiscendenza. Il problema del collezionismo è effettivamente complicato in Italia, perché credo che lo sguardo sia piuttosto superficiale, soprattutto nei giovani collezionisti. L’impostazione è di tipo puramente speculativo: è bello comprare l’opera di un giovane artista e vedere che questa cresce sotto il profilo dell’attenzione, economico… Sono convinto delle grandi potenzialità dell’arte italiana, ma la sua debolezza è legata al mercato internazionale e non è legata alla ricerca.
Il coinvolgimento privato è legate anche ad un mutamento di mentalità da parte loro. Come fanno la Scozia, Brasile, Messico occorre essere favorevoli al sostegno degli italiani, grazie a persone che abbiano relazioni e contatti col governo.

Michele D’Aurizio, caporedattore dell’edizione internazionale di Flash Art e co-fondatore dello spazio progetto Gasconade
Se banalmente penso ad una mia giornata  – sono editor di una testata internazionale basata a Milano e coordinatore di uno spazio no profit a Milano -, per me ci possono essere macrotematiche di riflessione stimolate da artisti italiani e poi rivolte all’internazionale, ma molto spesso è il contrario. L’esercizio era che l’artista che presentavo lo potesse essere all’interno di una questione attiva a livello internazionale. Quello che trovo un po’ statico è appunto l’esercizio che dal locale porta all’internazionale e viceversa. Problematico è riaffermare sempre questa italianità. L’Arte Povera ha avuto un apparato universale, che universalizzava peculiarità italiane… Tutti i tentativi di teorizzazione che si sono susseguiti hanno puntato sulla nazionalità italiana, ed è un problema. Si tenta ancora di individuare un movimento specifico di italiani che possa affermarsi poi in ambito internazionale. Ma bisogna concentrarsi su un dialogo con l’estero. Molti artisti milanesi degli anni 2000 non si sono affermati in quanto categorizzati un una specificità italiana: legame col design, gruppo 0… La questione teorica è completamente slegata dalla produzione dell’arte italiana. (…)
Io mi occupo solo dell’edizione internazionale di FlashArt, ma sarebbe interessante chiamare in causa chi dirige le testate italiane. E’ stata l’unica che davvero si è occupata dell’arte italiana, seppur abbia mancato di valorizzare e prendere in considerazione alcuni artisti. Secondo me bisogna sempre trovare delle connessioni, non focalizzandosi troppo sull’italianità, che diventa quasi una specificità di linguaggio.

Diego Marcon, artista
L’esterofilia non è da intendersi come attrazione verso l’esotico, ma un fatto sociale, economico, linguistico che possa rendere più semplice il definirsi artista come una figura reale in un sistema socio-economico. A Parigi se ti definisci artista, anche persone non dell’arte riescono comunque a percepirti come entità con un ruolo sociale. Invece tra molti miei mici artisti italiani c’è una sorta di insofferenza, esigenza di andarsene. (…) Sembra che l’Italia non offra un percorso che porti alla ricerca, alla riflessione, alla sperimentazione. E’ importante sottolineare che forse c’è una situazione economica e politica maturata in diversi anni, per cui lavorare in questo contesto è complesso. Dall’altra parte credo che ci sia un logorio dell’identità piuttosto diffuso, non solo nella scena artistica. (…) In Italia manca uno spazio che accolga i primi esperimenti dei giovani artisti usciti dall’accademia. Manca anche un linguaggio burocratico che definisca l’artista e la sua posizione: questo rende molto faticoso un percorso, la sopravvivenza psico-emotiva e pratica, ma forse non è neanche un bene che ci sia una eccessiva definizione statale. E forse è anche meglio non avere un mondo accademico vincolante nel guidare i giovani artisti.
Margherita Castiglioni, Gallery assistant presso la Seventeen Gallery – Cofondatrice di Armada, Milano
Sicuramente bisogna parlare di esterofilia per tutti. Io sono a Londra da diversi anni e vedo che c’è una migrazione da parte di tanti artisti e persone che lavorano in gallerie che vengono dal Canada, dalla Germania,… Sono esterofili tutti: è semplicemente la voglia di uscire, avere nuovi stimoli, confrontarsi con culture diverse. Città come Londra e Berlino, in cui ci sono state grandi migrazioni, inizialmente grazie ad una facilità economica, hanno poi creato questi contesti migratori che fanno parlare di esterofilia, ma è solo una conseguenza. Adesso da Londra gli artisti stanno andando a Berlino, Città del Messico, in cerca di residenze (“In Messico si possono pagare le tasse con le opere” cit. Paolo Zani). Non è un problema, ma solo un dato di fatto. Ci potrebbe essere un dialogo più intenso tra galleristi ed artisti e collezionisti ed artisti. Io credo che tutti dobbiamo fare una piccola esperienza all’estero, non per scappare dall’Italia, ma per capire ciò che c’è là fuori. Quello che vedo a Londra sono curatori e galleristi che vanno a vedere gli studi e a conoscere gli artisti, ma a Milano non lo vedo… Penso che gli artisti sono messi spesso in soggezione. Forse si potrebbe pensare ad un aiuto privato a favore delle gallerie che aiutano artisti italiani, per esempio nelle fiere.

Beatrice Bertini, Direttrice Ex Elettrofonica
Io invece credo che un problema sull’esterofilia lo abbiamo. Noi galleristi abbiamo certo rapporti con artisti del nostro territorio e se abbiamo diversi artisti stranieri è solo per una questione economica: sono i collezionisti ad essere esterofili. Noi ci muoviamo in base al mercato, e non ci conviene avere artisti italiani! Non credo che non esista l’esterofilia. Negli anni e nella storia l’Italia è contraddistinta da un pensiero orizzontale, aperto, meticcio, democratico. Ma non siamo mai riusciti ad imporre una politica culturale che dia all’arte la possibilità di essere un volano. Non è una cosa autogiustificante. Noi facciamo un lavoro pratico, basico e quindi ci rendiamo conto di cosa dobbiamo fare. Sulla carte ci piace dire che non lo siamo, se ci pensiamo esterofili ci sentiamo di destra… E’ più facile scambiare con le altre gallerie artisti stranieri che italiani, anche per una questione di curriculum. Gli italiani entrano in galleria subito poco dopo l’Accademia, non avendo ancora un rapporto solido col loro lavoro. Gli artisti italiani non hanno master, borse di studio. E spesso questi artisti giovani diventano contabili noiosissimi.

Cuoghi Corsello, duo artistico bolognese
Sono convinta che gli artisti sono esseri sensibili che captano idee delle persone del mondo. Le idee girano nel mondo e io posso fare un lavoro a Bologna mentre uno simile nasce nel Messico. Però, l’Italia ha un’antenna maggiore nel percepire queste idee del mondo e abbiamo un surplus di energia artistica, che nasce in Italia e poi viene fatta fiorire in altri paesi. Abbiamo artisti molto importanti da sempre, ma che sono fioriti all’estero. Secondo me, è giunto un momento energetico in Italia che farà in modo che qui si svilupperanno le idee importanti per portare ad un cambiamento. Quindi, sono ottimista. Nell’Italia non c’è un’idea omogenea, ma è come se fosse fatta da tanti piccoli paesi e ci sono quindi molte individualità. (…) Per superare questa impasse occorre confrontarsi di più, parlarne tra di noi, capirci meglio. Noi siamo stati fortunati perché, finita l’accademia, abbiamo organizzato noi le mostre, abbiamo giocato facendo sia la parte dei galleristi che quella degli artisti. Forse anche oggi sarebbe interessante che gli artisti si organizzino delle mostre da sé, uscendo dal sistema. Bisogna parlare, secondo me, degli artisti italiani contemporanei nelle scuole, a partire dalle elementari.
Facendo il punto, gli elementi emersi, dai quali far nascere proposte pratiche.
Interrelazione: lo scenario italiano è fatto da attori che devono parlarsi e fare sistema; critica, che ha come tendenza quella di contenere in una dimensione italiana la discussione sull’arte; le propaggini possibili che una mostra può avere; supporto pubblico, problema della politica; sensibilizzazione al linguaggio italiano; gli scambi con le gallerie estere; editoria italiana: parlare troppo degli stranieri, parlare degli italiani in inglese, non parlarne.

Report di Marco Arrigoni



Bravo Cavallucci hai avuto proprio una bella idea, c'è bisogno di incontrarsi e parlare, te ne siamo grati.

Ultima foto di ragazzini  pratesi.

















Siamo tornati in treno con fiocco di neve.



Siamo scesi nel nostro quartiere con il trenino tornado poi a  casa piedi, che soddisfazione
avere la stazione in Mazzini!


















A casa un attimo e poi da Dinamo la Velostazione di Bologna che ha inaugurato anch'essa in questi giorni



E poi nel flusso della manifestazione degli occupanti  contro gli sgombri e per la libertà








Poi, dopo aver prelevato Guido Costa in Hotel e passati da Astuni per fargli vedere la mostra collettiva "raccontare un luogo" curata di Lorenzo Bruni,  finalmente siamo arrivati ad inaugurare la nostra personale "Quadrupedi" della quale potete vedere il precedente post.






4 commenti:

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