CRONACA
"Organizzazione? Piuttosto un movimento
però siamo artisti non menti diaboliche"
Monica Cuoghi inventò la papera che colonizzò i muri negli anni 80. È anche stata denunciata: "No, quella non ero io..."
di CARLO GULOTTASui graffiti ha costruito la sua fortuna, almeno in termini di visibilità e di riconoscibilità artistica: Pea Brain, al secolo Monica Cuoghi, è la madre di tutte le ochette che a partire dagli anni '80 hanno colonizzato i muri di Bologna, in tandem con un altro graffito, "cane k8", sigla del compagno di viaggio Claudio Corsello. "Pea" ha esposto in diversi musei in Italia e all'estero, e cominciò da lì, dalle paperelle, arrivando poi a realizzare il grande albero blu al teatro Contavalli, sede del comitato elettorale di Sergio Cofferati nel 2004, e nell'anno passato il manifesto per la strage alla stazione. Un'opera in tandem con Corsello è stata esposta al Premio Campigna, curato da Renato Barilli.
Ma il logo di "Suf", la bimba con gli occhioni spalancati sovrastata da un immanente punto interrogativo, ha inguaiato un'artista coccolatissima dalla Bologna creativa. La sera del 22 gennaio i militari di guardia alla basilica di San Petronio hanno denunciato Monica Cuoghi per il graffito "Suf", tracciato con la vernice nera sul telo che ricopre i lavori di restauro della chiesa più amata dai bolognesi.
Vogliamo parlarne? C'è una denuncia per imbrattamento...
"No, non ne voglio parlare, e comunque quella non ero io. Era un'altra persona... ".
La Procura indaga sui writer per capire se a Bologna c'è un fenomeno riconducibile a un'"organizzazione": che ne pensa?
"Diciamo che in un certo senso c'è un "disegno". Anzi, molti disegni. Ma attenzione: togliamoci dalla testa l'idea che c'è una "mente" dietro i writer di Bologna. C'è un movimento, questo sì, che ha radici antiche. E' un rito collettivo che assume la forma di un linguaggio comune. E ha una sua dignità. L'uomo ha cominciato a scrivere sui muri all'età delle caverne, no?".
Giusto. Ma qui c'è chi scrive sulle "caverne" altrui, le case dei bolognesi, e a volte sui palazzi storici. E' giusto anche questo?
"Credo che a nessuno verrebbe mai in mente di andare a fare una tag sui muri di palazzo dei Diamanti a Ferrara. I writer hanno leggi severe e una certa "autodisciplina": bisognerebbe evitare di scrivere sui palazzi storici. Però... ".
Però?
"Però le pareti di una città sono anche le pagine bianche sulle quali scrivono i nostri figli. Ogni tanto basterebbe ripulirli, come si fa per cancellare lo smog. Perché anche le "tag" invecchiano, e perdono significato".
Insomma, la repressione è sbagliata.
"E' un errore liquidare un movimento collettivo trattandolo alla stregua di uno "scarabocchio". Forse sarebbe più utile dialogare coi writer. A New York i graffitari hanno cominciato a lavorare sui muri quarant'anni fa, elaborando stili e segni personali, riconoscibili".
Scusi, ma che differenza c'è fra una delle sue ochette e una tag?
"I segni vanno capiti, forse io ho avuto fortuna perché disegnavo una figura riconoscibile. Un'ochetta, appunto. Il mio nome l'ho costruito non solo su questo, ho fatto tante altre cose che forse la gente conosce. E sa una cosa? Mi sono divertita".
Sulla chiesa dei Servi in Strada Maggiore c'è il disegno di un maiale: deve restare lì?
"No, io lo cancellerei, quella non è una tag".
Perché?
"Perché quello è un maiale".
Ma il logo di "Suf", la bimba con gli occhioni spalancati sovrastata da un immanente punto interrogativo, ha inguaiato un'artista coccolatissima dalla Bologna creativa. La sera del 22 gennaio i militari di guardia alla basilica di San Petronio hanno denunciato Monica Cuoghi per il graffito "Suf", tracciato con la vernice nera sul telo che ricopre i lavori di restauro della chiesa più amata dai bolognesi.
Vogliamo parlarne? C'è una denuncia per imbrattamento...
"No, non ne voglio parlare, e comunque quella non ero io. Era un'altra persona... ".
La Procura indaga sui writer per capire se a Bologna c'è un fenomeno riconducibile a un'"organizzazione": che ne pensa?
"Diciamo che in un certo senso c'è un "disegno". Anzi, molti disegni. Ma attenzione: togliamoci dalla testa l'idea che c'è una "mente" dietro i writer di Bologna. C'è un movimento, questo sì, che ha radici antiche. E' un rito collettivo che assume la forma di un linguaggio comune. E ha una sua dignità. L'uomo ha cominciato a scrivere sui muri all'età delle caverne, no?".
Giusto. Ma qui c'è chi scrive sulle "caverne" altrui, le case dei bolognesi, e a volte sui palazzi storici. E' giusto anche questo?
"Credo che a nessuno verrebbe mai in mente di andare a fare una tag sui muri di palazzo dei Diamanti a Ferrara. I writer hanno leggi severe e una certa "autodisciplina": bisognerebbe evitare di scrivere sui palazzi storici. Però... ".
Però?
"Però le pareti di una città sono anche le pagine bianche sulle quali scrivono i nostri figli. Ogni tanto basterebbe ripulirli, come si fa per cancellare lo smog. Perché anche le "tag" invecchiano, e perdono significato".
Insomma, la repressione è sbagliata.
"E' un errore liquidare un movimento collettivo trattandolo alla stregua di uno "scarabocchio". Forse sarebbe più utile dialogare coi writer. A New York i graffitari hanno cominciato a lavorare sui muri quarant'anni fa, elaborando stili e segni personali, riconoscibili".
Scusi, ma che differenza c'è fra una delle sue ochette e una tag?
"I segni vanno capiti, forse io ho avuto fortuna perché disegnavo una figura riconoscibile. Un'ochetta, appunto. Il mio nome l'ho costruito non solo su questo, ho fatto tante altre cose che forse la gente conosce. E sa una cosa? Mi sono divertita".
Sulla chiesa dei Servi in Strada Maggiore c'è il disegno di un maiale: deve restare lì?
"No, io lo cancellerei, quella non è una tag".
Perché?
"Perché quello è un maiale".
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